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Giovani e carriera, un tempo per lavorare, un tempo per amare

13 Giu 2017 | Opinioni

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Giovani e carriera, come devono cambiare le organizzazioni aziendali per tenere conto della sensibilità di chi non ha più le certezze delle generazioni precedenti?

I giovani sono spesso vituperati come pigri, viziati e svogliati. Certo, alcuni sono così a causa di genitori che ancora inculcano nei loro figli delle istanze superate dalla storia. Ma la maggior parte dei ragazzi non è affatto così. Sono in gamba, sanno che devono dimostrarlo e che devono lottare con il coltello fra i denti perché non c’è più nulla di garantito.

Recentemente ho avuto occasione di dialogare con giovani under 30, lavoratori dipendenti e liberi professionisti. Mi hanno raccontato i loro desideri riguardanti la carriera e la vita, mi hanno esposto le loro difficoltà e le loro incertezze.  Ascoltando questi giovani mi pare che il modello di carriera aziendale in cui io sono cresciuto sia ormai superato. Parlo di quei tempi in cui la luce ancora accesa dell’ufficio, in un palazzo ormai buio, era uno status-symbol. I giovani scalpitano per affermarsi, con la consapevolezza di essere all’altezza dei cambiamenti tecnologici in corso. Nuotano nelle innovazioni come dei pesci e sono sempre connessi. Tuttavia hanno le idee molto chiare riguardo ai limiti da porre: “Mi voglio impegnare per avere più responsabilità – mi ha detto uno di questi, forse il più grande di età, già in predicato di ricoprire un ruolo dirigenziale – ma la sera e nei fine settimana, salvo casi particolari, voglio essere libero”.

Il punto di svolta è proprio qui.

Questa nuova generazione pretende giustamente la sua occasione e allo stesso tempo non vuole rinunciare ad amare la vita. I ragazzi che ho ascoltato non hanno i punti di riferimento morali e politici di chi li ha preceduti. Sono liberi dalle ideologie, compresa quella del lavoro.

Ma soprattutto i giovani sono consapevoli che per loro non ci sarà una data di pensionamento e dovranno lavorare tutta la vita.

Forse proprio per questo tengono alla sacralità della sfera affettiva o personale che, tra l’altro, è indispensabile a formare e rendere compiuto l’essere umano. Ho chiesto ad alcuni ragazzi di spiegarmi meglio cosa intendano fare del loro tempo libero dal lavoro. Mi hanno risposto che vogliono continuare a fare sport e quindi curare la propria salute, ma anche dedicarsi ad attività di tipo culturale, oltre che godersi gli affetti più cari. Sono attività che accrescono e migliorano la performance della persona e che hanno sicuramente un riflesso positivo anche sul lavoro.

Costringere queste persone ad andare contro il loro ideale di vita può rivelarsi controproducente.

Naturalmente esse accetteranno ogni diktat, ma dentro di loro si pianteranno delle spine, per dirla alla Elias Canetti, che prima o poi dovranno togliere, con inevitabili dolori.

Il tempo di lavoro e il tempo libero si possono invece conciliare, addirittura aumentando l’efficienza. Questa è la scommessa degli anni a venire. Organizzazioni che si ri-configurano per meglio affrontare i nuovi paradigmi, flessibilità in cambio di tempo, smart working… i metodi esistono e non occorre essere Google o la Apple per applicarli.

L’alternativa è continuare come si è sempre fatto, procedendo con impostazioni ormai datate perché impostate su un mondo che non c’è più. Vecchi arnesi che cigolano e che, per sopravvivere, richiedono sempre maggiore autorità per compensare una sempre minore autorevolezza.

Massimo Max Calvi ©2017

 

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