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Servizio militare, ho fatto la Naja e ne sono felice

23 Giu 2017 | Storie

Servizio militare

Ho festeggiato i trent’anni del mio congedo dal servizio militare di leva, ossia la Naja, così si usava chiamare questo obbligo di circa un anno a cui erano chiamati tutti i cittadini italiani maschi a partire dai 19 anni di età. Un obbligo abolito nel 2004.

All’epoca ero un ventenne, da poco diplomato e patentato (nella foto sono il secondo da destra, in piedi). Trovavo doloroso separarmi dalla mia fidanzata e rinunciare a un anno di giovane vita. Come molti anche io cercai invano un modo per evitare il servizio militare ma riuscii solo ritardare la partenza di qualche mese.

Così, una sera dell’estate del 1986, salii su un treno per Napoli, con destinazione finale Maddaloni, in provincia di Caserta. Di certo non è il luogo più vicino alla mia Bologna o alla mia amata riviera romagnola. A quei tempi non c’era il Frecciarossa e occorrevano 10/12 ore di viaggio per giungere a destinazione, su vagoni affollati di gente sudata.

All’arrivo non entrai subito in caserma ma sostai a lungo in un bar fuori dai cancelli. Nell’attesa scrissi qualcosa sul taccuino che mi ero procurato per imprimere i miei pensieri di quell’anno che mi attendeva, e che ancora conservo.

Eravamo poco più che ragazzini, il servizio militare ci costringeva a uscire dalla nostra zona di comodo.

Una volta entrato alla caserma “Rispoli” di Maddaloni mi trovai in una situazione emotivamente molto difficile. Passammo ore e ore fermi, immobili, costretti a urlare presentandoci in una certa maniera per poter andare in bagno. Se sbagliavi restavi lì e ci riprovavi a oltranza, fintanto che non avevano pietà della tua vescica.

Prima di partire andai da Scarpetti, il mio barbiere, che mi tagliò i capelli cortissimi facendomi una “spazzola perfetta”, da manuale. Ma nonostante ciò fui costretto a pagare l’incapace barbiere della caserma che rovinò tutto: era un modo per umiliarci, così come gli insulti o l’interromperci continuamente il sonno nelle notti successive con le ispezioni nelle camerate.

Forse non sono grandi cose, ma eravamo poco più che ragazzini e quasi tutti noi non avevano mai lasciato la loro famiglia.

Per settantadue giorni rimasi lì, nel terribile caldo della Smica (Scuola militare di Commissariato e Amministrazione) a Maddaloni.

Pratiche fino ad allora solo immaginate

Il servizio militare in quegli oltre due mesi consistette in pratiche fisicamente impegnative. Lunghi e serrati turni di guardia, servizi di cucina passati a lavare di migliaia di piatti ed enormi pentole unte o a trasportare carriole di rifiuti organici in un bunker esposto al sole, una specie di discarica malsana e piena di roba in decomposizione, che provocava il vomito anche solo ad avvicinarsi.

E ancora, le marce sotto il sole a picco come se non ci fosse un domani, restando perfettamente allineati in una sorta di danza di precisione con gli anfibi duri e i calzini di lana grossa (che avrebbero dovuto prevenire le vesciche).

Poi le esercitazioni di tiro, in una sassaia incandescente raggiunta dopo alcune ore di camion, indossando mimetica con le maniche lunghe e tutti i bottoni chiusi e, infine, le interminabili ore di lezione sulle pratiche logistiche e amministrative, perché ero casualmente finito nel blasonato Corpo di Commissariato e Amministrazione dell’Esercito Italiano.

E poi c’era la merda di centinaia di reclute da pulire nei cessi, ogni volta che eri nominato “piantone”, cosa che succedeva assai spesso.

Noi soldati di leva del 5/86 abolimmo il nonnismo (oggi si direbbe bullismo)

Terminato quel periodo mi trasferirono al 25esimo Comando militare di zona, a Vicenza, dove l’andazzo inizialmente non cambiò molto: anche se eravamo in pochi e forse privilegiati, c’era un nonnismo esasperato. Un bullismo, si direbbe oggi, che in certi casi arrivava anche ad essere violento, non solo a parole.

Noi del “Quinto Scaglione 1986”, quando arrivammo ad avere l’anzianità necessaria, decidemmo di abolire quella pratica e lo facemmo con un gesto molto simbolico: “fare la branda” a quelli più giovani di servizio, per rendere loro più sopportabile il rientro dal premesso o dalla licenza.

Ancora oggi rivedo periodicamente i miei “frati” di Naja e, ogni volta, ci rendiamo conto che il tempo non è riuscito a cancellare l’amicizia e la solidarietà che si crearono fra noi in quei mesi. Quel 23 giugno di trent’anni fa ritirammo il nostro congedo e ci salutammo, piangendo nell’abbracciarci. Ci commuovemmo noi e si commossero anche i compagni più “spine” di noi che restavano “dentro”, a finire di assolvere il loro obbligo con la Patria.

Fare il servizio militare, nonostante la paura iniziale, mi è servito.

Per affrontare la Naja fui costretto a uscire dalla mia zona di comodo. Mi staccai dalle mie certezze di post-adolescente degli anni Ottanta per vivere in un sistema di vita totalizzante, il più delle volte assurdo, in cui dovevi imparare ad arrangiarti, ad andare d’accordo con tutti, a dormire con tutti, a lavorare con tutti, indipendentemente dalla loro istruzione e dalla loro provenienza geografica.

Da casa solo incoraggiamenti, dovevi imparare a farcela da solo

Non avevamo a disposizione computer, telefonini o smartphone e, per comunicare con casa, si usavano i telefoni pubblici o le lettere di carta, con il francobollo da leccare. Da casa, però, non potevano fare nulla per aiutarti, se non incoraggiarti o inviarti del denaro, e così dovevi imparare gestirti da solo i problemi e i magoni.

Imparavi a incassare dei “No” grandi come un carro armato

In sostanza imparavi a prenderti le tue responsabilità (una volta per una ragazzata da irresponsabile rischiai di finire rinchiuso nel carcere militare di Peschiera) e imparavi a lavorare in team. A me capitò anche la fortuna di essere promosso fino al grado di Sergente, quindi feci una bella esperienza nella gestione delle persone e dei loro programmi di lavoro.

Durate il servizio militare imparavi il rispetto per gli spazi degli altri e per l’anzianità. Ma soprattutto imparavi a ricevere dei “No” grandi come un carro armato, facendotene una ragione. Credo che l’abolizione della Naja sia stato un grosso errore e, pur non essendo un militarista, penso che una formula rinnovata della leva obbligatoria sarebbe una buona cosa, dal punto di vista educativo. Anche soli 6/9 mesi, che si potrebbero dedicare a mansioni di protezione civile o ambientale, oltre che alla formazione per la gestione di situazioni di panico (ad esempio in casi di attacco terroristici)

Io sono molto contento e orgoglioso di essere partito per la Naja, quella sera d’estate dalla stazione di Bologna. Ricordo l’abbraccio forte di mio padre, il bacio di Sonia e l’incoraggiamento di mio cugino Stefano. Quella partenza, benché sofferta, resterà sempre fra i ricordi più belli della mia vita.

Massimo Max Calvi ©2017

 

 

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29 Commenti

  1. Stefano

    Ciao Massimo, sei la seconda persona che conosco che sappia dove sia Maddaloni. Mi hai fatto tornare indietro di 36 anni (!).
    Un cordiale saluto da Stefano, bolognese, 8° scaglione 1981, come te partito ventenne in una calda estate dalla stazione di Bologna per due mesi di CAR a Maddaloni

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    • Massimo Calvi

      Ciao Stefano, mi fa molto piacere di aver riacceso la tua memoria di un periodo che, nel bene e nel male, resterà indimenticabile. Grazie per il tuo gradito contributo. Max

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  2. Andrea

    Lo Stato non ha istituito il servizio di leva a scopo educativo, ma perché c’era il rischio di una guerra mondiale che necessitava truppe di massa già pronte all’uso, cosa ottenibile solo con la coscrizione obbligatoria.La naja era comunque una metafora della vita: ti assegnavano un incarico e una destinazione che non ti eri scelto tu e che non potevi cambiare, l’unica cosa che potevi fare era trarre il meglio da ciò che avevi ricevuto. Questo è stato l’insegnamento che mi ha dato il servizio militare.

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    • Massimo Calvi

      Sì, concordo. Buona parte delle cose che si facevano erano infatti inutili, si marciava con schioppi che forse non funzionavano, si montava di guardia a strutture vuote… Eppure c’era quella logica dell’eseguire al meglio l’incarico/ordine, rispettando le regole e il decoro. Oltre a tutto il perimetro della “fratellanza” e dello spirito di squadra. Un bell’effetto collaterale, secondo me.

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    • Massimo Calvi

      Certo, erano altri presupposti. Infatti io penso che si potrebbe riproporre l’esperienza senza la parte militare, magari un bel servizio civile, a pulire i boschi, a fare barriere contro frane e alluvioni, ad aiutare la gente in difficoltà nelle tante emergenze ambientali (o sanitarie).

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  3. Michele

    Ciao anch’io ero a Maddaloni. Ero del 4/86 e mi sembra di riconoscermi nel secondo accucciato da sx. Puo’ essere che nella foto ci siano anche quelli del 4/86 ??
    Un saluto

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    • Massimo Calvi

      Ciao Michele, scusa il ritardo, dovuto a problemi “tecnici”. Non saprei se nella foto c’era qualcuno del Quarto. Potrebbe essere, se ricordi facevamo il Car Avanzato. Posso dirti con certezza che era luglio, noi del Quinto eravamo infatti arrivati il 6 e il 7 luglio.

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    • Massimo Calvi

      Ciao Michele, potrebbe essere. Sono passati molti anni.

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  4. Daniele

    Francamente a me il servizio militare é solo servito a togliere le mie certezze che avevo prima dei 20 anni.L’unica cosa che ho capito é che il nostro Stato é fatto di merda.Magari se avessi fatto il servizio civile sarebbe andata meglio.
    Una cosa ho capito:”Soltanto chi non ha bisogno né di comandare né di ubbidire é veramente grande”

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    • Massimo Calvi

      Sono d’accordo con te, Daniele, sul fatto che forse un servizio civile sarebbe meglio, come ho scritto anche nell’articolo. Ma un servizio civile operativo, inquadrati in strutture definite e secondo delle regole, per curare l’ambiente, aiutare la Protezione Civile, i volontari del soccorso…

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      • Tony

        Ciao max.snche io ho fatto il servizio militare ero del 9 1986 ….sono partito per casale Monferrato,per tre mesi di car ,e la cosa assurda che mi e capitata il fatto che siccome avevo come destinazione il 2 rale di Bologna,mi avevano nascosto la partenza a me ed un’altra recluta ,,,,ma un bel giorno che eravamo tornati su in caserma dopo l’adunata mattutina,dalle sei …entro un capitano a controllare le camerate e siccome chi non si sentiva bene o non aveva ricevuto ancora un mestiere poteva rimanere in camerata confinato,ci becco il capitano che ci portò on fureria e trovarono la nostra partenza e fu così che il giorno dopo partimmo per la destinazione finale ….che quando ebbi modo di arrivare….ci fecero subito lo scherzo ,che era di rimanere in piedi sugli attenti davanti a dei nostri commilitoni,con gradi finti e farci lo scherzo del benvenuto ,però mi e piaciuto che lo rifarei ed e servita questa esperienze….un saluto a te max …..

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        • Massimo Calvi

          Ciao Tony, grazie per la tua condivisione. Ricordo anche io qualche scherzo, sempre nei limiti, perché il nonnismo era altra cosa. Ricordo che mandammo un piantone a dare la cera ai pavimenti del comando, ma prima lo facemmo passare per l’ufficio degli autisti a farsi rilasciare il foglio di marcia della lucidatrice!

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        • Massimo Calvi

          Grazie Tony, con colpevole ritardo ricambio il saluto e ti ringrazio per la tua condivisone del tuo ricordo.

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      • Werner Niederbacher

        Chi ho fatto Militare a madaloni Caserta del 2 scaglione 3 compania 1986 Mi chiama 3483139647
        Werner Niederbacher
        Alto Adice

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    • Massimo Calvi

      Sì, anche io penso che una nuova leva liberata dalla parte guerresca e trasformata in un servizio civile sarebbe una bella cosa.

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  5. giancarlo cuzzolin

    io ho fatto il militare al confine con l’ex jugoslavia eravamo come la fortezza bastiani in attesa di un nemico che per fortuna non e’ mai arrivato eravamo dei ragazzini di 19 20 anni a cui davano in mano x 12 mesi armi da guerra.la mia personale esperienza e’ stata;sono entrato sotto la naia come un ragazzino e ne’ sono uscito responsabilizzato non dico un uomo ma quasi.

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    • Massimo Calvi

      Bella la tua citazione del Deserto dei Tartari, Giancarlo. Amo moltissimo Dino Buzzati. Hai centrato il punto: riprendere un servizio obbligatorio non significa mandare i giovani a difendere i sacri confini come dei dilettanti, ci sono i professionisti per questo. Ma significa, almeno per come la penso io, mettere in campo un sistema affine o complementare alla Protezione Civile e/o ai Forestali, in cui le ragazze e i ragazzi possano vivere una esperienza educativa e altamente formativa, sufficientemente lontani da mamma e papà, al servizio della Nazione, in un contesto strutturato in cui si vive a stretto contatto con altre persone e altre culture e ci si responsabilizza nel rispetto delle regole.

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  6. Luca

    Ciao Massimo, mi chiamo Luca volevo aggiungere un mio commento ; io ho fatto la naja nell’Artiglieria Alpina Pesante Campale di stanza a Trento , scaglione 1°/85 partito ancora prima dei 19 anni ( li compio a Maggio e partii il 20 Gennaio per Merano ai confini con Austria) quindi un ragazzino e già da li iniziavi a capire che dovevi imparare ad arrangiarti da solo. Sicuramente però orgoglioso di aver fatto il militare, ma non per l’addestramento all’uso delle armi,che sinceramente ora saprei solo premere il grilletto di un fucile,bensì come scuola di vita e quella ti rimane dentro ,il saper soffrire,l’interagire e fare amicizia con persone di diverse zone dell’Italia di conseguenza usanze diverse che vai ad unire alle tue plasmandole l’une alle altre,come ultimo e non ultimo, la fatica perchè ti garantisco che negli Alpini ci facevamo fare un mazzo!!! (ovviamente lontani da casa altrimenti decade tutto non serve a nulla se posso rincasare tutti i giorni)quindi concordo con te sia stato un’enorme errore abolire il servizio di leva . Ultimo voglio aggiungere questo domenica scorsa sono stato all’adunata Nazionale degli Alpini a Milano, naturalmente emozionante , ma a parte questo vedere mezzo milione persone sfilare di tutte le zone ed età , orgogliosi e fieri di esserci ,vuol dire che questa naja allora non era tutta inutile e sbagliata o no ??? Ciao ti auguro una buona giornata Luca P.

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    • Massimo Calvi

      Ciao Luca, grazie davvero per questa tua bella testimonianza. Non sono stato alpino (però avevo un generale alpino e un capitano lagunare, mare e monti…) ma ho avuto la fortuna di vivere un raduno nella mia città e l’emozione è davvero forte e contagiosa, anche per chi, come me, non ha avuto l’onore di indossare la penna nera. Un caro saluto.

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    • Massimo Calvi

      Sì Luca. Condivido. Infatti il punto non è imparare a sparare, ma mettersi alla prova uscendo dalla grande zona di comodo della famiglia.

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  7. Damiano

    Ciao Massimo
    io sono arrivato alla Rispoli di Maddaloni il 20 aprile 1990 (3°/ 90) e ci sono rimasto fino al trasferimento a Gaeta i primi di luglio 90. Rivivo molto di quello che hai scritto e con tutte le difficoltà e le assurdità (ma anche con le opportunità e gli insegnamenti) è stato un gran anno che rimarrà impresso per sempre.

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  8. ROBERTO FIORENTINI

    Ciao Massimo Max Calvi, tutto vero, con il servizio militare,io ero a due passi da Maddaloni, a Salerno per poi andare a San Giorgio a Cremano, 2° scaglione 82, si sono perse tutte le certezze e sicurezze che avevamo accumulato nei nostri primi 19 anni di vita.Vivere senza genitori,amici e parenti è stata molto dura all’inizio, si piangeva di notte senza farsi vedere, ma poi piano piano si acquisivano altre certezze, si facevano nuove amicizie, a volte talmente strette che quando ci siamo congedati non bastava un asciugamano per asciugare le lacrime che erano miste di gioia per il ritorno a casa ma anche di dolore per l’allontanamento da certe persone con le quali avevi condiviso tanti momenti belli e brutti.

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    • Massimo Calvi

      Ciao Roberto, è vero. I magoni notturni cercando di non farsi scoprire… grazie per questa condivisione.

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  9. marco

    ciao, mi sono imbattuto per caso in questa discussione ed è stato un tuffo nel passato. Feci un servizio militare durissimo, granatiere di Sardegna in caserma operativa e di rappresentanza, 5°scaglione 1987. A mio vantaggio c’era che stavo a 90 km da casa , cosa che alla fine si rivelò invece un drammatico aspetto negativo. Avere un contatto settimanale con la vita normale non mi ha mai fatto rassegnare a quella realtà: ero nelle mani dello Stato italiano, uno dei più corrotti del mondo, cioè stavo nella merda fino al collo! Quello che manca nelle considerazioni è che non tutti lo facevano e c’era chi lo faceva rischiando la salute fisica e mentale e chi con pernotto a casa e lavoro d’ufficio. Ne uscì distrutto, con tanta rabbia in corpo ma con una certezza che è quella che dice Daniele in un commento precedente: ero stato un Grande; tanti soprusi non mi avevano tolto la mia giovinezza e umanità. Perché ”Soltanto chi non ha bisogno né di comandare né di ubbidire é veramente grande”. No, non lo rimpiango e soprattutto non ne auspico il ritorno. Non vorrei che mio figlio lo facesse. Ci sono altri modi per responsabilizzare i giovani ed educarli al rispetto degli altri.

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  10. Angelo F

    Invece per noi napoletani che facemmo la naja in Friuli Bologna era solo una tappa dove cambiare il treno che ci avrebbe portato verso il confine jugoslavo .(8/88 Genio guastatori)

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  11. Mario

    Ciao Massimo. Anch’io ho fatto il militare al 25 CMZ di Vicenza, 4 scaglione 85. Nella foto che hai postato riconosco alcuni volti che erano ai primi mesi di naja quando mi sono congedato nell’86, di cui ovviamente non ricordo il nome. È stato emozionante sebbene per puro caso ritornare alla caserma dove ho trascorso quasi un anno durante il quale ho vissuto bei momenti e buone amicizie. Pure io mi sono congedato con l’attitudine al grado di Sergente. Grazie

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